Ogni volta che penso a un albero, o ne guardo uno, provo una sensazione di forza e protezione, di riposo e di accoglienza. Mi affascinano il tronco, la corteccia ruvida, i toni dal marrone al bruciato del legno, le tante sfumature di verde delle foglie. E il suono del vento fra i rami.
Mi ricordo i castagni della Corsica rurale, solidi e maestosi, nei randonnée de pays, i sentieri circolari che uniscono minuscoli paesi e chiesette, e i pini loricati della Basilicata, nel parco del Pollino, con le loro forme bizzarre e misteriose da foresta incantata.
La parola albero, da albor, ha un’origine etimologica incerta. Forse contiene una radice urv, che significa fecondo, fertile. Per me, albero vuol dire radici, vita, rinascita, tutti significati che ho ritrovato nel bellissimo film d’animazione L’uomo che piantava gli alberi.
Architettura naturale stabile, eppure proiettato nello spazio e in continua evoluzione, l’albero si ramifica e si espande. Diventa a volte metafora concettuale per rappresentare altre realtà. L’albero genealogico è una sorta di infografica ante litteram che raffigura il diramarsi di una famiglia o di un intero clan.
Ma l’immagine dell’albero è anche piena di poesia. Da ragazzina mi ha conquistata la storia del Barone rampante di Italo Calvino che, in un coerente rifiuto delle convenzioni, vive sugli alberi tutta la sua vita. In una dimensione aerea, sospesa eppure piena di incontri, amori e avventure meravigliose e un po’ folli.
E per fare una passeggiata fra gli alberi, esseri complessi e magici, consiglio a tutti di addentrarsi nella Foresta dell’anima della fotografa Irene Kung.